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IL LAVORO AL MASSIMO RIBASSO

Stavo scrivendo queste poche righe quando è arrivata la notizia dell’ennesima tragica fine di Camara, il ragazzo del Mali morto nel brindisino dopo una giornata di lavoro nei campi sotto un torrido sole d’estate.
Gli infortuni dall’esito drammatico che stanno aumentando parallelamente alla ripresa delle attività lavorative ci ricordano quanto ancora ci sia da fare sul tema dei controlli e della sicurezza dei posti di lavoro, dei macchinari (da non manomettere), degli impianti (idem) e della formazione della mano d’opera.
Un altro segnale inquietante è il susseguirsi di episodi di protesta, talvolta purtroppo anche’essi con esiti drammatici, che coinvolgono i lavoratori della logistica.
Sono sintomi di un malessere che non si è mai sopito, e che temo tenderà ad acuirsi nei prossimi mesi, che riguardano determinate categorie di lavoratori, spesso dipendenti di cooperative che nascono e muoiono nel giro di pochissimo tempo, o false partite iva o riders, con condizioni di lavoro che rasentano lo sfruttamento e contratti capestro che non danno minime garanzie di una vita decorosa.
Sono la punta dell’iceberg di quello che chiamerei “il lavoro al massimo ribasso”.
“Serve un riscatto del lavoro, vanno ristabilite condizioni di dignità in tutte quelle situazioni di sfruttamento, di discrimanazione, di scarto”, per usare le parole di papa Francesco.
Bisogna ripartire dalle regole e togliere il bastone del comando alla speculazione e all’assenza di trasparenza.
Serve l’impegno della politica e dei sindacati.
E qui emerge una terza punta di questo immenso iceberg: la contrapposizione tra sindacati confederali e autonomi
E’ evidente che certe categorie non si sentano rappresentate dai primi e che atteggiamenti un po’ “duri”dei secondi non siano accettati da tutti. Ma questo non è il momento di difendere o giustificare questo o quel sindacato ma il momento di fare unità per garantire a tutti i frutti della ripresa in atto
Sappiamo bene che pur nell’auspicata ripresa post Covid, decine di migliaia di persone rischiano di perdere il lavoro; dobbiamo essere consapevoli che, da sempre, crescita non vuol dire ripresa dell’occupazione, ma ristrutturazioni pesanti e aumento del lavoro povero. Non crediamo che la soluzione sia impedire alle imprese di licenziare, ma certamente la fine della Cassa integrazione Covid e lo sblocco dei licenziamenti devono avvenire con gradualità in attesa di una ripresa reale e non ipotetica.
Serve intanto urgentemente varare nuovi ammortizzatori sociali, che siano veramente tali per tutte le categorie, compreso il lavoro domestico, e legati a nuove e diffuse politiche attive del lavoro a partire dall’istruzione e dalla formazione professionale permanente. Abbiamo bisogno di formazione durante tutta la vita lavorativa, perché è la prima forma di assicurazione sulla stabilità lavorativa.
Serve insomma una svolta collettiva verso un’economia dove conti molto di più il valore e il contributo di ogni persona. Dove questo avviene tendenzialmente c’è più produttività, più giustizia sociale e ci sono meno morti.

Roberto Agosti
(presidenza provinciale ACLI)

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