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Il lavoro che cambia, in attesa di una rivoluzione delle politiche attive


In occasione del 1 maggio 2023 si svolgerà un Consiglio dei ministri che dovrebbe fornire una nuova sforbiciata al costo del lavoro, liberalizzare i contratti a termine e ridurre la portata del reddito di cittadinanza. In effetti, i sussidi degli ultimi anni si sono dimostrati inidonei ad affrancare le persone dallo stato di indigenza.
Piuttosto che attraverso mere politiche passive, consistenti nel garantire un reddito per coloro i quali perdono il lavoro o non riescono a trovare una nuova occupazione, il problema del lavoro va risolto ribaltando l’approccio e sviluppando sul territorio nazionale misure volte a fornire a persone e imprese l’intera catena dei servizi necessari per favorire l’incontro fra offerta e domanda di lavoro. Questo modo di ragionare si traduce nella prospettiva dell’inclusione, garantendo ai più deboli, cioè coloro che rischiano di essere esclusi dal tessuto produttivo, quell’assistenza tale da consentire la valorizzazione delle competenze acquisite, nonché, eventualmente, una riconversione utile alle aziende e agli stessi lavoratori. Tale obiettivo diventa possibile nella misura in cui lo Stato sia disponibile a intervenire con un sistema efficace di istruzione, formazione e orientamento, in grado di rafforzare le professionalità, riconoscendo effettivo valore al lavoro e al capitale umano.
La sfida è notevole anche per il mondo scolastico e universitario, che dovrà essere in grado di anticipare le richieste del mercato del lavoro, sia adattando contenuti e linguaggi in modo trasversale ai diversi corsi di studio, che individuando contenuti idonei a riqualificare quei lavoratori che, ad esempio, sono stati “colpiti” dal progresso tecnologico. Tale processo deve ovviamente essere accompagnato da una vera e propria rivoluzione delle politiche attive del lavoro, che necessita inevitabilmente di una riforma strutturale dei centri per l’impiego.
Alessandro Candido

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