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L’importanza delle Regioni per la ripartenza.

Così Giuseppe Mazzini scriveva in un saggio intitolato “Dell’unità italiana” (apparso nel 1831, ma ultimato trent’anni più tardi): “io vorrei che, trasformate in sezioni e semplici circoscrizioni territoriali le tante artificiali divisioni esistenti in oggi, non rimanessero che sole tre unità politico-amministrative: il Comune, unità primordiale, la Nazione, fine e missione di quante generazioni vissero, vivono e vivranno tra i confini assegnati visibilmente da Dio a un Popolo, e la Regione, zona intermedia indispensabile tra la Nazione e il Comune”. Molti decenni dopo, nel famoso “Appello ai liberi e forti” del 1919, Don Luigi Sturzo ribadiva la necessità di costituire la Regione, ma non soltanto (come voleva Mazzini) in chiave di mero decentramento, bensì quale ente dotato di autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria, nonché dotato di organi eletti dai cittadini. Le Regioni nascevano con la Costituzione repubblicana, ma (faticosamente) cominciavano a operare soltanto negli anni ’70. In seguito, tra (pochi) alti e (tanti) bassi, la storia del regionalismo è stata caratterizzata dalla costante ricerca di un valido modello di rapporti tra centro e periferia che – dopo il sostanziale fallimento della riforma del 2001 – ancora oggi si fatica a trovare. Eppure, se si pensa al grave periodo di emergenza sanitaria in corso, non si può omettere di evidenziare che, da due mesi a questa parte, le Regioni hanno recitato un ruolo da protagoniste. Tralasciando le uscite talvolta fuori dagli schemi di alcuni governatori, va a onor del vero affermato che se il sistema ha retto, il merito è anche delle Regioni, le quali – nei limiti fissati dalla normativa nazionale emergenziale – hanno emanato numerose ordinanze per regolare la convivenza nei rispettivi territori, tenendo conto delle variegate condizioni epidemiologiche presenti. Esse saranno ancor più importanti nella fase 2, quella dell’auspicata ripartenza dell’economia, quando sarà necessario che la tanto invocata leale collaborazione tra Stato e Regioni prenda forma. A tal fine, il primo dovrà abbandonare quella radicata diffidenza che sin dalla Costituente nutre verso le seconde; ma queste ultime saranno chiamate dimostrare di meritare il regionalismo, diventando finalmente, come immaginava Feliciano Benvenuti nel 1960, “un modo di soluzione del problema della amministrazione in uno Stato moderno e democratico”. Solo ragionando con unità di intenti, pur nella diversità di vedute, sarà possibile raggiungere quel delicato punto di equilibrio tra unità e differenziazione che in questa difficile contingenza potrà costituire la base per guardare al futuro con rinnovata speranza e fiducia.

Alessandro Candido

Avvocato, professore a contratto nell’Università degli Studi di Milano Bicocca e dottore di ricerca in Istituzioni di diritto pubblico nell’Università Cattolica

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