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Lo scenario futuro: VERSO UN’INTESA GENERAZIONALE

Le elezioni di domenica 4 marzo giungono al termine di un periodo e una legislatura difficili.

La recessione che ci siamo appena lasciati alle spalle ha profondamente indebolito la nostra società. Siamo in posizioni tutt’altro che favorevoli in molteplici classifiche europee su parametri essenziali che misurano il benessere sociale: livelli di occupazione e delle retribuzioni, disoccupazione giovanile, fasce sociali a rischio di povertà, numero di laureati e coinvolgimento della popolazione adulta in attività di formazione e aggiornamento professionale, solo per citarne alcuni. Il ceto politico che riceverà il mandato parlamentare dagli elettori non potrà eludere le questioni spinose che ci impediscono di stare al passo con l’Europa

Una società ha la necessità di un disegno condiviso, una proposta in grado di coagulare le attese, gli sforzi, gli obiettivi in maniera chiara, in modo da non disperdere i bisogni e le risposte possibili in un quadro in cui tutto appare slegato, sovrastato dall’esigenza di rispondere a molteplici problemi immediati, senza avere mai la possibilità di alzare lo sguardo, di avere una visione unitaria, una direzione chiara, di maturare un progetto alto, soppesando i suoi effetti complessivi. Per noi questo disegno complessivo comincia ad avere un nome: intesa generazionale.

Solo con un’intesa e una condivisione tra generazioni, in particolare tra giovani ed anziani, si possono esaminare ed affrontare le questioni e le sfide sociali attuali, avendo un obiettivo di lungo termine, rispetto al quale orientare le analisi, definire le priorità, costruire un modello sociale adatto ad un periodo, quello che abbiamo davanti, in cui l’economia rischia di produrre forse più ricchezza ma anche più disuguaglianza; uno scenario nel quale assisteremo ad enormi trasformazioni sociali, specie nel mercato del lavoro, e ad una tendenza a rendere ancora più selettivo l’accesso al welfare.

Un quadro in cui i giovani oggi non hanno prospettive adeguate, se non quella di una vita peggiore di quella delle generazioni precedenti e gli anziani vengono investiti troppo spesso da crescenti insicurezze e sacrifici che appaiono ad essi incomprensibili. In tale contesto è forte l’esigenza di discontinuità, di una sorta di Risorgimento sociale, di una mobilitazione della parte migliore della società, che dia ali e gambe ad un progetto vasto e complessivo.

Non siamo più disponibili ad assistere ad una soluzione “rotativa” ai molteplici problemi sociali della nostra epoca, continuando a “tirare la coperta corta” da un lato e dall’altro, per rispondere al calo dei consensi di un settore o l’altro della società, a seguito dei sondaggi  demoscopici.

Bisogna invece fare chiarezza e ripartire, bisogna ritornare a pensare che per far ripartire l’economia è necessario prima risolvere i problemi sociali.

Così come si deve fare in modo che si torni a parlare delle priorità che interessano realmente i nostri giovani ed i nostri anziani. Ancora una volta assistiamo invece alla ricerca del “nemico esterno”, da additare come causa principale delle ansie collettive: la madre di tutte le questioni, la presenza degli stranieri. Oggi saremmo comunque tutti più poveri e sfiduciati anche se gli stranieri sparissero dal nostro Paese, al di là di come la pensiamo sulla loro accoglienza. Bisogna ribadire questo punto e fare in modo che un diverso progetto forte, positivo, alternativo, unisca e non divida le forze sociali.

Così come occorre affermare a chiare lettere che è necessario ridefinire le priorità, con sacrifici proporzionali alle proprie ricchezze individuali, per raggiungere gli obiettivi di un nuovo benessere sociale, costruito su valori in parte diversi rispetto al passato recente; valori che facciano della coesione generazionale il collante su cui costruire un nuovo consenso sociale.

Ecco perché è necessario un progetto di intesa generazionale, perché solo risolvendo i problemi che attanagliano i giovani e gli anziani, favorendo un’alleanza tra gli stessi rispetto alle questioni attinenti il sostegno legato alla loro specifica condizione, alla loro vita reale e non supposta, questo Paese potrà ritrovare la fiducia, una fiducia autentica, basata sulla prospettiva, non ammantata da soluzioni facili e populistiche ai problemi che si soffermano solo sull’oggi.

Ma anche il welfare, in generale, deve essere ripensato: la direzione da prendere è che, per citare solo un esempio, la previdenza non dovrà essere più legata alla sola fase finale della vita. Essere previdenti significa avere strumenti in grado di intervenire quando questo serve, in ogni fase della vita, non fissare un unico traguardo: la pensione.

Si tratterà dunque non solo di definire meglio cosa è Previdenza e cosa è Assistenza, ma anche di declinare in maniera diversa ciò che questi due termini devono contenere come azioni a favore dei giovani e degli anziani, sapendo che ci sarà poi da gestire una transizione verso un modello nuovo, pieno di novità rispetto al passato.

Questo lo si può fare solo se le tre fasi principali della vita (la formazione, il lavoro e la quiescenza) verranno concepite in maniera più rispondente alle dinamiche attuali. Dove questa sequenza è fortemente alterata le fasi si mischiano, si frazionano, si anticipano e si ritardano, appaiono non più legate a età ben determinate della vita di ognuno: non si può più rischiare che le soluzioni non siano disponibili solo perché chi ha bisogno non si trova nell’età giusta predeterminata dalle soluzioni attuali.

Dobbiamo rifondare il sistema a partire dai bisogni, non incasellare i bisogni in un quadro astratto, in una sequenza di vita che non esiste più.

Dal documento delle ACLI Nazionali “Al lavoro con le ACLI”

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