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NON SI PUO’ PARLARE DI PACE SENZA ESSERE TACCIATI DI PUTINISMO

Circola in tutto il mondo un’insana voglia di armi: è come un vento cattivo, che accompagna il crescere dell’aggressività nei rapporti sociali e politici. Questo fenomeno si manifesta anche in sede parlamentare, non ultimo il parere della Commissione Finanze del Senato sull’abolizione dell’Iva per la vendita delle armi e poi la gestione dell’aumento al 2% delle spese per la difesa (solo M5S col presidente Conte hanno avuto il coraggio di contestare). Oggi non si può parlare di pace senza essere tacciati per filo-russi o come traditori della Resistenza. Siamo ancora liberi di dire che la vita di ogni uomo è degna, che la guerra è un abominio e che va bandita dalla storia? La posizione delle Acli è questa. Non siamo stati sul divano a commentare i fatti, ma siamo andati a Leopoli a portare la nostra solidarietà, a capire cosa si può fare sul piano politico e interreligioso per stare al fianco del popolo ucraino. C’è un popolo crocifisso e conosciamo chi, invece, sta mettendo i chiodi su quella croce. Sappiamo che agli orrori di Bucha e ad ogni altra nefandezza compiuta dall’esercito russo deve essere dato un nome, e per ogni morto, per ogni violazione, dovrà essere trovato e punito ogni colpevole, secondo la giustizia internazionale. Ogni vita spezzata, ferita, deve avere la sua verità e uscire dall’anonimato per chiedere giustizia. Ma la guerra non si può alimentare: inviare armi è come mettere benzina sul fuoco. Bisogna fare di tutto perché anche una sola vita in più sia salva. E poi, terminato il conflitto, ci sarà il tempo per la verità. Le parole del Papa interrogano tutti: i credenti, chiamati a dar conto della loro personale adesione al Vangelo nella vita quotidiana e nelle scelte che vanno oltre la mera comprensione razionale; i non credenti perché riflettano sulla necessità di superare il meccanismo di morte imperante perché “si è sempre fatto così”. Da qui derivano segni, come quella di chiedere a una donna ucraina e a una russa di portare la croce a una stazione della Via Crucis al Colosseo, una scelta non capita – ed è l’aspetto più doloroso – dalle vittime di questa guerra. Il militante nonviolento ha chiaro dove stia l’oppressore e dove l’oppresso, la differenza sta nel fatto che egli sposta la resistenza su di una dimensione diversa in cui l’oppressore si ritrova spiazzato. Non è una via semplice né subito risolutiva – ma non sono risolutive neppure le guerre – e richiede un coraggio che non è inferiore a quello di chi sceglie di imbracciare le armi. È da questa incomprensione che realtà come l’Anpi vengono investite da accuse generalizzate ed irresponsabili.
Il mantenimento di una forza armata è consustanziale all’affermazione della sovranità delle Nazioni, e uno degli effetti più disgraziati dell’aggressione russa è stato quello di indurre Paesi neutrali a prendere in considerazione l’adesione alla Nato. Non è giunta l’ora di declinare anche sotto il profilo della difesa comune l’integrazione comunitaria europea? Oggi, invece di inviare armi o spendere risorse del Pnrr per la base militare di Coltano, è necessario fermare un esodo senza controllo a cui assistiamo inermi, un dramma nel dramma che la buona volontà di tanti cittadini non può certo contrastare. Organizziamo, invece, l’accoglienza dei profughi con un piano europeo che a cibo e alloggio affianchi un sostegno psicologico e l’inserimento nelle scuole e nel sistema produttivo. L’amarezza sta nel constatare come la crisi ucraina, determinata dalla volontà di potenza di Putin, abbia avuto l’effetto di ricacciare indietro il mondo di 80 anni, di polarizzarlo in una nuova guerra fredda e, soprattutto, di destinare alla produzione e all’acquisto di armi immense somme di denaro che avrebbero potuto essere utilizzate per prevenire e combattere le pandemie, per lottare contro la desertificazione e favorire la transizione ecologica, per dare pane, lavoro e medicine ai poveri di tutto il mondo.
A questo non dobbiamo rassegnarci.

Emiliano Manfredonia
Presidente Nazionale Acli
Articolo pubblicato sul “Fatto Quotidiano” del 20 aprile 2022

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