Green pass e vaccini: quando c’è in gioco la solidarietà
Ha fatto molto rumore il decreto legge con cui il Governo, per fronteggiare la perdurante emergenza da Coronavirus e il diffondersi delle varianti, ha imposto l’obbligo di munirsi del green pass, quale condizione per partecipare a determinate attività ed accedere ad alcuni servizi. Ha diritto alla certificazione verde chi ha ottenuto almeno la prima dose di vaccino nei precedenti nove mesi, chi è guarito dal Covid-19 nei precedenti sei mesi, o chi ha effettuato un test (molecolare, antigenico o salivare) nelle ultime 48 ore.
Com’è noto, dallo scorso 6 agosto il green pass è condizione per frequentare ristoranti al chiuso, palestre, piscine, centri termali e altri luoghi dove c’è il rischio di assembramento (come cinema, teatri, sale da concerto, stadi o palazzetti sportivi); esso è altresì necessario per eventi, convegni e congressi. A ciò si aggiunga che dal 1 settembre la certificazione verde sarà indispensabile per i docenti e per il personale della scuola, ma anche per viaggiare sui treni a lunga percorrenza, sulle navi e sugli aerei.
Per il momento non vi è una normativa che imponga l’obbligo vaccinale, eccezion fatta per le professioni e gli operatori del comparto sanitario.
Se questo è il quadro, ci si è chiesti se tali regole, che inevitabilmente impattano con la libertà degli individui, restringendola o, quantomeno, condizionandola, siano compatibili con il nostro quadro costituzionale.
Ritengo che la risposta debba essere convintamente positiva e vada fondamentalmente ricondotta a due norme della Costituzione: da un lato, l’art. 16, che consente a ogni cittadino di circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, “salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza”; dall’altro, l’art. 32, che tutela la salute come “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” e dispone che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
Dalla lettura di queste norme si desumono i seguenti elementari principi:
a) in presenza di situazioni di emergenza sanitaria, è possibile – con legge – limitare la libertà di movimento dei cittadini;
b) in virtù della necessità di salvaguardare il bene salute (l’unico considerato dalla Costituzione davvero “fondamentale”), in una logica di bilanciamento, è ammissibile una compressione di ulteriori diritti (economici, sociali, ecc.);
c) a tutela della salute pubblica, la legge può rendere la vaccinazione obbligatoria, sia pure in presenza di determinati requisiti declinati dalla Corte costituzionale; in particolare, la legge che dispone il trattamento sanitario obbligatorio deve essere sempre proporzionata e non discriminatoria.
L’obiettivo del green pass è certamente quello di evitare che l’infezione possa diffondersi nei luoghi più affollati. Ma tale strumento è anche una misura che gli economisti comportamentali definirebbero di nudge (che va tradotto come “pungolo”, o “spinta gentile”). Si tratta di strumenti grazie ai quali il decisore può orientare i comportamenti individuali in modo prevedibile, senza però proibire alcuna opzione. In altri termini, attraverso tale strumento di regolazione si introduce una strategia di incentivi che prende il posto degli obblighi e dei divieti, consentendo ai poteri pubblici di agire in modo efficace ed efficiente in numerosi campi, come ad esempio quello della promozione della vaccinazione. Volendo fare un esempio banale: chi ha il vaccino non ha bisogno del tampone per entrare allo stadio.
Ciò detto, più che quale misura di nudge, mi piace pensare al green pass (che potrebbe essere in futuro sostituito dall’imposizione del vaccino obbligatorio per tutti) come strumento che contribuirà a ridurre il contagio e, conseguentemente, a salvare vite e a favorire il ritorno alla normalità. Ce lo chiede la Costituzione quando all’art. 2 richiede a tutti l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà – anche – sociale. Gli scettici se ne faranno una ragione. Qui c’è in gioco la solidarietà.
Alessandro Candido
(Presidente delle Acli provinciali di Piacenza)