«Per il bene comune contro gli eccessi del liberismo»
Con Paolo Rizzi e Barbara Barabaschi dell’Università Cattolica una lettura socio-economica dell’Enciclica Fratelli Tutti
Un documento che si può, a pieno titolo, definire “sociale”, perché – nel suo linguaggio semplice ed evocativo – prova a tracciare i pilastri di un nuovo modo di stare insieme, oltre gli eccessi del libero mercato e dell’individualismo più sfrenato. L’Enciclica “Fratelli Tutti”, l’ultima pubblicata da Papa Francesco, è stata al centro dell’incontro “Fraternità, amicizia ed economia di mercato: un dialogo impossibile? Una lettura socio-economica della “Fratelli Tutti” organizzato in forma telematica nella serata del 19 aprile dall’Associazione degli Ex Studenti del Collegio Sant’Isidoro, insieme al Meic di Piacenza, alle Acli provinciali, al Collegio Sant’Isidoro e alla Residenza Gasparini.
A coordinare il partecipato evento – in collegamento circa una 40ina di persone – è stato il presidente provinciale delle Acli Piacenza Alessandro Candido, che ha subito dato la parola ai due ospiti di serata: Paolo Rizzi, professore associato di Politica Economica dell’Università Cattolica e Barbara Barabaschi, ricercatrice di Sociologia dei Processi Economici e del Lavoro dell’Università Cattolica.
“Siamo tutti sulla stessa barca”
“Nelle premesse dell’Enciclica – ha esordito Barabaschi -, utilizzando uno stile caldo e schietto, Papa Francesco ci ricorda come sarebbe bello se l’innovazione tecnologico-scientifica facesse rima con parole come fraternità ed inclusione sociale. Lo abbiamo visto con particolare forza nella pandemia: l’utilizzo del digitale ha permesso di mantenerci connessi, però, allo stesso tempo, se mancano le possibilità di accesso a questi strumenti, si rischia di creare isolamento. Inoltre – ha aggiunto la ricercatrice -, in questo periodo abbiamo capito che la tecnologia non può rimpiazzare in toto le relazioni umane: la socialità è un elemento che è più che mai necessario recuperare, soprattutto tra i giovani cosiddetti “nativi digitali, le cui relazioni appaiono spesso manchevoli di quel contatto umano che permette una crescita nella condivisione”.
Barabaschi ha quindi commentato quella che è forse l’espressione più potente e conosciuta dell’Enciclica di Papa Francesco: “Siamo tutti sulla stessa barca”. “Il Papa ci avvisa che, nonostante le differenze di genere, etnia, religione, età, siamo tutti interconnessi – ha affermato -. Come diceva il sociologo Émile Durkheim, la società deve concepirsi come una sorta di organismo vivente, dove solo il corretto funzionamento di ogni singolo elemento garantisce l’efficienza del corpo intero. Guardiamo – ha esemplificato – allo sviluppo urbano in certe metropoli, dove, quando certi gruppi sociali vengono emarginati in angoli circoscritti della città, divampano tensioni sociali”.
Tra continuità e novità
Rizzi ha poi analizzato il “cuore economico” della “Fratelli Tutti”, specificando che da questo punto di vista si tratta di un “testo che presenta elementi di continuità ed altri di novità. In particolar modo – ha aggiunto -, affonda le radici nella “Centesimus Annus” di Papa Giovanni Paolo II del 1991: qui veniva criticato sia il modello socialista collettivista, poi rivelatosi dittatoriale, sia il modello liberista senza regole. Simile, in certi aspetti, anche la “Caritas in veritate” di Benedetto XVI del 2009, dove lo spauracchio del socialismo non c’è più, ma rimane la critica aperta al capitalismo sregolato. Poi arriva Francesco, che porta una forza inedita nelle dichiarazioni, con la condanna dell’indifferenza, della globalizzazione e dell’economia. Francesco usa parole molto dure: “l’economia che uccide”, “l’economia che strozza”. Espressioni – ha precisato Rizzi – che vengono dalla sua storia di cittadino di un Paese Sudamericano, dove le multinazionali in molti casi hanno portato ricchezza, ma anche sfruttamento. Un’altra novità di Francesco – ha aggiunto – è la gioia che trasmette nei suoi messaggi, che traspare già dai titoli delle sue encicliche”.
Domare gli “animal spirits” del libero mercato
Il messaggio di Papa Francesco è chiaro: se non controllato, il libero mercato provoca disastri. Ci vogliono forze contrapposte che lo orientino e lo indirizzino su binari di solidarietà, giustizia, uguaglianza. “Il punto centrale dell’enciclica consiste nel ribadire che il mercato da solo non basta – ha sottolineato Rizzi -: c’è un attacco a quello che viene definito come un “dogma di fede”, ovvero la teoria liberista del “traboccamento” o “gocciolamento”. Un’idea – ha spiegato il professore – secondo cui se si si lasciano esprimere gli “animal spirits” dell’economia, la forza dell’imprenditore in cerca di successo, ne beneficeranno a cascata anche i soggetti più deboli. Ciò in gran parte è vero, ma quando c’è troppo squilibrio può non essere così”.
“Per lo sviluppo umano integrale”
La soluzione di Francesco sta nella comunità. “Nell’enciclica emerge questa importanza di ricorrere allo spirito comunitario, rivalutare le comunità, reinterpretandole non nell’ottica della crescita economica, ma bensì dello sviluppo umano integrale, coinvolgendo tutti gli attori della società – ha spiegato, riprendendo la parola, Barbara Barabaschi -. In questo scenario, Stato e Mercato diventano invece, in un certo senso, dei “corpi intermedi”, semplici strumenti che permettono di arrivare al risultato finale: il bene comune”.
Ecco perché decisiva diventa la società civile. “Tante aggregazioni e organizzazioni” la definizione del Papa stesso che “aiutano a compensare le debolezze della Comunità internazionale, la sua mancanza di coordinamento in situazioni complesse, la sua carenza di attenzione rispetto ai diritti umani fondamentali e a situazioni molto critiche. Così – continua Papa Francesco – acquista un’espressione concreta il principio di sussidiarietà, che garantisce la partecipazione e l’azione delle comunità e organizzazioni di livello minore, le quali integrano in modo complementare l’azione dello Stato”.
“Il Progetto Policoro”
“Si propone una sorta di welfare generativo – il commento a tal proposito di Barabaschi -: l’obiettivo è quello di aiutare gli individui ad aiutare se stessi, salvando ciò che c’è di buono nel neoliberismo, con però soluzioni personalizzate e non calate dell’alto. Lo Stato, da parte sua, deve fornire gli strumenti adatti per muoversi nella società, controllando se le persone riescono a responsabilizzarsi e a perseguire i propri scopi di vita, secondo i singoli principi ed ideali”.
Come esempio virtuoso di questo intreccio di azioni e compiti condivisi, Barabaschi ha citato un’iniziativa lanciata dalla Cei, il Progetto Policoro. “Qui la Chiesa si affianca allo Stato nell’aiutare le persone a trovare un’occupazione dignitosa – ha spiegato -: grazie a dei tutor si portano soggetti in difficoltà, soprattutto giovani, ad esprimere il proprio potenziale realizzando delle imprese che vengono chiamate “gesti concreti”. I risultati in termini di generatività – cioè di aziende che sviluppano occupazione – è molto alto”.
Federico Tanzi
Pubblicato su Il Nuovo Giornale on-line il 20 aprile 2021