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Quando sei nato, non puoi più nasconderti

Dall’introduzione del presidente nazionale ACLI Roberto Rossini al convegno “In Continuo Movimento” Bologna 12 – 14 settembre 2019

Ogni giorno nel mondo nascono circa 400mila bambini. Non possono scegliere il colore della pelle, la nazionalità o il sesso, la famiglia e neppure il luogo e il nome. Ognuno di loro nasce, tutto qua. E una volta nato, non puoi più nasconderti: devi affrontare la vita così com’è, con le tue forze e le sue opportunità e difficoltà. La vita si affronta in un contesto: e neanche quello può nascondersi, anzi deve assumere le sue responsabilità, agire. La nascita c’inserisce in un contesto dove si può decidere quale scuola frequentare e forse chi sposare: non sempre che lavoro fare, se diventare povero o ricco. Non è vero che tutto è intorno a te, alla tua volontà. Molto ha a che fare da come funziona il contesto, il sistema, la “macchina”, l’ingranaggio, la matrice… Chiamatelo con l’accezione che preferite, il punto è sempre lo stesso: non tutto dipende dalla buona volontà dell’individuo. A noi il contesto ha sempre interessato: ci piace capire e intervenire sulla “macchina” per renderla più adeguata alle persone e alle comunità, più capace di farsi carico dei destini degli individui, di prenderli da un punto e portarli ad un altro, più in alto. Se fossimo negli anni Settanta parleremmo di emancipazione sociale, di liberazione dalle restrizioni se non dalle costrizioni di partenza. Alle soglie del nuovo millennio possiamo affermare che per superare condizioni negative di partenza basti l’impegno personale? Ancora no, non proprio: una mobilità ridotta praticamente a zero ci dice che gli ostacoli di ordine economico e sociale.che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese, non sono stati tutti rimossi. Il Paese è fermo. È un fatto. La crescita del Pil si colloca attorno allo 0,1% (in rallentamento); rallentano gli investimenti, mentre accelera la crescita del debito pubblico, che salirà al 134,7% del Pil se in assenza di stabilità politica. Il rating basso che le agenzie internazionali ci affibbiano è indicatore di un Paese statico, che non investe, che non si pone degli obiettivi. Il Paese è fermo. Molti “cervelli” se ne vanno, altri s’accontentano, qualcuno accetta l’idea che il progresso sia ‘almeno non perdere le posizioni’ faticosamente raggiunte dai padri. Altro che conquiste dei lavoratori: qui non ci rimane che sperare di cavarsela, per sé ma soprattutto per i propri figli. In Italia si rimane ciò che si nasce, nulla più: il padre operaio che ha faticato per mantenere gli studi del figlio che si è laureato, rischia di vedere lo stesso figlio disporre di un reddito con una capacità d’acquisto minore di quella di cui disponeva lui ai suoi tempi. Il Paese è fermo. Le nascite sono meno dei decessi, l’età media continua ad alzarsi. Il ringiovanimento è affidato agli stranieri, senza i quali crollerebbero interi ambiti economici. Non si fanno figli. Esiste una curiosa ma drammatica correlazione tra il debito pubblico e il numero di figli: in Italia più si alza il debito, meno si fanno figli. In un Paese dovrebbero armoniosamente convivere le generazioni del passato, che hanno costruito il Paese, del presente, che cercano faticosamente di portarlo avanti, del futuro. Ora viene meno il futuro. Per tutte queste ragioni abbiamo deciso di affrontare il tema della mobilità sociale. Perché noi non staremo fermi ad osservare lo spreco che questo Paese sta compiendo verso le vite sociali dei lavoratori, dei nostri concittadini. Ben lo sappiamo: non siamo l’Italia degli anni Cinquanta, quella del miracolo economico; non siamo la Cina o l’India, che crescono con tassi a due cifre; non siamo tra coloro che immaginano il futuro come un tornare indietro o assumere modelli che non ci appartengono. Eppure siamo convinti che proprio ora, proprio qui, sia possibile progettare assieme un nuovo modello di sviluppo, dove l’attenzione all’ambiente, alla tecnologia, alla persona e alla comunità siano i capisaldi tanto quanto la produzione e il profitto. Il modello dell’economia civile rimane il nostro riferimento assoluto, anche solo per dichiarare che non ci sarà salvezza se l’idea di sviluppo sarà ancora l’espansione continua e illimitata, con lo scopo di premiare solo gli azionisti. Oramai non ci crede più nessuno: neanche loro. Serve un modello di sviluppo giusto, che offra l’opportunità a ciascuno di muoversi, di crescere, di usare i talenti – uno o più di quelli – che ci sono stati misteriosamente affidati. Sarà possibile far ripartire una stagione positiva? Sarà possibile tornare a credere alla triade pace, prosperità e progresso per accompagnare e dare concretezza alla libertà delle donne e degli uomini del nostro tempo? Vale la pena dichiarare subito un principio. La nostra (pre)occupazione per una maggiore mobilità sociale non è limitata ad un semplice star meglio sotto il profilo delle condizioni di vita economica e sociale. Sarebbe già tanto, ma non basta. Il fatto è che la mobilità sociale è direttamente collegata alla libertà e all’uguaglianza delle persone: del popolo. E a noi, questo, interessa moltissimo.

Roberto Rossini

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