Il lavoro dignitoso
Durante la trascorsa festa di San Giuseppe lavoratore (01 maggio) , papa Francesco in un tweet ha scritto: “Celebriamo san Giuseppe lavoratore ricordandoci sempre che il lavoro è un elemento fondamentale per la dignità della persona”.
Non è certo la prima volta che il Santo Padre si esprime in favore del lavoro e soprattutto della sua dignità, in linea con i suoi predecessori e con la dottrina sociale della Chiesa, a cominciare dall’enciclica Rerum Novarum (1891) di Leone XIII.
Gli interventi della Chiesa a favore del lavoro hanno sempre avuto a cuore “i lavoratori” – specie i più deboli – più che “il lavoro”. Dalla Rerum novarum – in cui si denuncia lo sfruttamento dei lavoratori dipendenti, il lavoro minorile, i duri orari dei lavoratori, la situazione delle fabbriche – fino all’Evangelii Gaudium in cui Papa Francesco afferma che il lavoro è quell’attività in cui “l’essere umano esprime e accresce la dignità della propria vita (n. 192).
Per esporre la concezione cristiana del lavoro è importante riferirsi al documento Laborem exercen (14-09-1981) di Giovanni Paolo II, la sola enciclica interamente dedicata a questo tema. L’idea centrale è che il lavoro è l’attività umana per eccellenza. Lavorando, l’essere umano imita Dio, «poiché porta in sé – egli solo – il singolare elemento della somiglianza con lui» (LE, n. 25). In questo importante documento troviamo quattro elementi che caratterizzano la riflessione sul lavoro: il rapporto con la creazione, la relazione tra capitale e lavoro, la dignità dell’uomo, la solidarietà.
Se il lavoro, in tutte le sue forme, è legato spesso alla pena nella tradizione cristiana (cfr Genesi 3, 17) – molti testi infatti richiamano il rapporto tra il peccato e le forme di alienazione nel lavoro -, quest’ultimo, nel discorso sociale della Chiesa, è anzitutto una espressione della dignità dell’uomo. La persona umana, quindi, non deve essere degradata nell’ambito del lavoro, né alienata da esso. La sua finalità, al contrario, è di permettere all’uomo di costruire se stesso. Giovanni Paolo II ci dice che dietro ogni lavoro, fisico o intellettuale, di creazione, di esecuzione o di riproduzione, «c’è sempre un soggetto vivente: la persona umana. È da ciò che il lavoro trae il suo valore e la sua dignità» (Discorso all’assemblea dell’OIL, 1982, n. 2). La preoccupazione centrale di Giovanni Paolo II, profondamente radicata nella teologia e nell’antropologia bibliche, è che l’uomo produttore non perda il contatto con l’uomo sapienziale: senza la sapienza l’uomo è “incapace di comprendere la giustizia”. Un tempo l’homo faber e l’homo sapiens erano uniti; nella società moderna tendono a separarsi perché la forma di pensiero del primo è divenuta radicalmente diversa. Pertanto, il lavoro, per essere umano, deve rispettare tutta la persona e tutte le persone.
Ritornando a Papa Francesco, il lavoro è considerato una priorità assoluta fin dall’inizio del suo pontificato, come si legge in alcuni passaggi dell’Evangelii gaudium, la sua esortazione apostolica che denuncia tra l’altro la condizione di precariato in cui versano tanti uomini e donne nel Pianeta, vittime della “globalizzazione dell’indifferenza” e della “cultura dello scarto”.
Memorabili le parole pronunciate di fronte ai lavoratori dell’Ilva di Genova, il 27 maggio dello scorso anno: “L’obiettivo vero da raggiungere non è il reddito per tutti, ma il lavoro per tutti”. “Il lavoro è una priorità umana. E pertanto è una priorità cristiana”, aveva detto Francesco con in testa l’elmetto giallo degli operai dell’Ilva. Una premessa che racchiude già tutta l’essenza del suo discorso. Si trova anche un sincero elogio all’imprenditore, figura fondamentale di ogni buona economia, a patto però che non si trasformi in speculatore: «Il vero imprenditore conosce i suoi lavoratori, perché lavora accanto a loro, lavora con loro. Non dimentichiamo che l’imprenditore dev’essere prima di tutto un lavoratore. Se lui non ha questa esperienza della dignità del lavoro, non sarà un buon imprenditore. (…). Nessun buon imprenditore ama licenziare la sua gente… Quando l’economia è abitata invece da buoni imprenditori, le imprese sono amiche della gente e anche dei poveri. Quando passa nelle mani degli speculatori, tutto si rovina. Con lo speculatore, l’economia perde volto e perde i volti. E’ un’economia senza volti. Un’economia astratta.. ».
Il lavoro è naturalmente il principale antidoto alla povertà, che con i suoi mille volti è frutto dell’ingiustizia e della miseria morale, dell’avidità di pochi e dell’indifferenza generalizzata.
Concludo con un ultimo cenno preso da Giovanni Paolo II, il quale aveva messo in guardia contro la minaccia della disoccupazione, che priva il lavoratore dei suoi diritti a un giusto salario e alla sicurezza. E precisava: «gli individui, quanto più sono indifesi in una società, tanto più necessitano dell’interessamento e della cura degli altri e, in particolare, dell’intervento dell’autorità pubblica» (Centesimus Annus, n.
10).
don Celso Dosi