News dal Territorio

1° maggio: lo sguardo al futuro

Quando penso che oggi il 40% e oltre di giovani è senza lavoro, o che oltre 4,5 milioni di italiani vivono in condizione di povertà assoluta, mi torna alla mente un film di fantascienza, visto tanti anni fa, non ne ricordo il titolo e nemmeno la trama, ma ricordo il contesto nel quale si svolgeva: una società ricca, benestante, per pochi fortunati, protetta da un’invalicabile barriera oltre la quale viveva una massa di poveri esclusi, straccioni ed affamati.
E così mi viene il dubbio: stiamo andando in quella direzione?
Certo, il governo sta cercando di correre ai ripari: Jobs Act, sgravi fiscali per le imprese che assumono, SIA (Sostegno all’Inclusione Attiva) e REI (Reddito di Inclusione sociale) sono sicuramente misure dovute e che tentano di dare un sostegno a chi si trova in situazione di bisogno, di fornire soluzioni a questa mancanza di lavoro e condizione di povertà, ma sono appunto misure tampone che rincorrono il presente.
Forse sarebbe il caso di provare ad anticipare il futuro e ad immaginare come, quale e quanto lavoro ci sarà, ad esempio, tra dieci-quindici anni.
Si pensi alla grande novità tecnologica che preme alle porte della nostra quotidianità, all’industria 4.0 e alle sue premesse che non riescono a fugare il dubbio che questa rivoluzione preannunciata possa tramutarsi in una minaccia sociale.
I tecno-entusiasti sono convinti che l’uso estensivo e coordinato dei big data in Rete, della meccatronica e della robotica, della “realtà aumentata” da sensori di precisione, delle stampanti 3D e della cyber security dia vita ad un inedito paradigma produttivo in grado di migliorare la qualità del lavoro. Nella “fabbrica digitale” gli operai si sbarazzerebbero della tuta blu,  indossando il camice bianco. Non sarebbero più costretti a svolgere compiti ripetitivi e faticosi. Grazie ai nuovi strumenti tecnologici gli eredi di Cipputi si troverebbero ad agire come degli ingegneri intenti a controllare il processo di produzione con un tablet fornito dall’azienda, anche da casa.
I tecnofobici la vedono in modo completamente diverso: per loro l’industria 4.0, lungi dal migliorare le sorti progressive dell’umanità, peggiora le condizioni dei lavoratori; prima di tutto perché l’interazione tra uomini e macchine nelle piattaforme interconnesse può essere alienante
quanto le routine del lavoro manuale; inoltre, perché l’automazione spinta della produzione potrebbe eliminare più posti di lavoro di quanti ne creerebbe. La tesi degli scettici è che i computer e i robot diventeranno la leva fondamentale della produttività, sostituendo la massa degli operai odiernamente occupati nell’industria tradizionale, oltre a lasciare a casa moltissimi addetti non qualificati nel settore dei servizi. (Le cinque italie – i documenti delle ACLI aprile 2017).
Quale dei due scenari è più verosimile?
Secondo Warren Bennis, cito una sua affermazione che ho trovato su Il Sole 24 Ore, “L’industria del futuro avrà solo 2 dipendenti: un uomo e un cane. L’uomo sarà li per nutrire il cane. Il cane sarà lì per evitare che l’uomo tocchi qualcosa”.
Certamente il progresso tecnologico determinerà una maggior efficienza produttiva con diminuzione dei costi e aumento dei profitti.
Come distribuire questi profitti? Già oggi il differenziale tra ricchi e poveri continua ad aumentare.
Lavoreremo meno per lavorare tutti? Oggi il lavoro è per pochi e sempre più occasionale.
Come verranno ricollocate le persone espulse dal ciclo produttivo e quali saranno i lavori e le competenze richiesti? La formazione scolastica e universitaria non sembra pronta a  preparare adeguatamente i giovani nemmeno per soddisfare le esigenze di oggi.
Questo grande cambiamento economico e tecnologico determinerà cambiamenti sociali e di welfare: dobbiamo pensare fin da ora a come dovranno essere gestiti.
Come cambierà l’utilizzo dei beni materiali? Già si inizia a parlare di uso in comune e non di possesso delle cose.
Come si evolveranno i servizi alla persona? Siamo sempre più longevi e l’età media della popolazione sempre più alta, ma i fondi per sanità e servizi sociali sono sempre più insufficienti.
Sono solo alcune riflessioni, in ordine sparso, fatte per sottolineare l’urgenza di analisi approfondite e scelte conseguenziali su quello che vogliamo sia il nostro futuro.
Temo che lasciare queste scelte alle leggi di mercato, lasciarle in balia dell’attuale sfrenato sistema capitalistico, non provare a indicare priorità e mettere punti fermi, possa portarci al mondo ipotizzato in quel film di fantascienza.
       Roberto Agosti
(pres. prov. ACLI Piacenza)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *